Il presepe napoletano rappresenta, senza dubbio, uno dei simboli più strettamente legati alla tradizione natalizia della città. Una città che, con le sue mille contraddizioni, incarna perfettamente lo spirito del luogo unendo sacro e profano, spiritualità e vita quotidiana.

 

Da dove deriva il suo nome, e quando è apparso la prima volta?

Il termine deriva dal latino praesepe o praesepium che significa “mangiatoia”. Ed è proprio Napoli a vantare del primo presepe al mondo, che risalirebbe addirittura al 1021/1025, come testimoniato da antichissimi documenti parrocchiali relativi all’allestimento nella Chiesa di Santa Maria del Presepe.

In un primo momento il presepe napoletano raffigurava la scena classica della Natività, con il bambino nella mangiatoia, la Madonna e San Giuseppe, il bue e l’asinello. In seguito, intorno alla metà del 1400, comparvero i primi scultori di figure che realizzarono sacre rappresentazioni in chiese e cappelle napoletane. Tra quelle maggiormente degne di menzione vi sono: il presepe di San Giovanni a Carbonara dei fratelli Pietro e Giovanni Alemanno; quello di Pietro Belverte per i frati della chiesa di San Domenico Maggiore, ambientato per la prima volta in una grotta di pietre vere, forse venute dalla Palestina.

Nel 1500 fu la figura di san Gaetano da Thiene che contribuì alla crescita di popolarità del presepio, tanto da essere definito l'”inventore” del presepe napoletano e come colui che diede inizio alla tradizione di allestire il presepe nelle chiese e nelle case private in occasione del Natale.

Una vera svolta fu data, verso la fine del 1600, dall’artista partenopeo Michele Perrone, il quale ideò un manichino con l’anima in filo di ferro dolce e ricoperto di stoppa che consentì alle statue di assumere pose più plastiche. Fu una innovazione che permise al presepe napoletano di ampliarsi cominciando ad introdurre scene di vita quotidiana, come i venditori di frutta o di carne, le popolane, i pastori con le pecore.

Il Settecento è senza dubbio considerato il secolo d’oro del presepe napoletano. Esso coincide con il Regno di Carlo III di Borbone, sovrano lungimirante che portò una meravigliosa fioritura culturale e artistica, testimoniata anche dalla magnifica produzione presepiale. Sotto il suo Regno il presepe divenne una vera e propria moda. Un presepio immenso veniva allestito in alcuni saloni del Palazzo Reale di Napoli, con centinaia di personaggi e una grande attenzione per i dettagli. Una tradizione che presto fu imitata dai nobili che diedero inizio ad una vera e propria competizione tra loro, basata sulla sontuosità e ricchezza dei materiali utilizzati. Ma non fu solo relegata alla classe ricca, perché ben presto il presepio si diffuse anche presso il popolo, seppur con una resa più semplice dei materiali.

 

Ma conoscete la simbologia che si nasconde dietro ogni personaggio? Abbiamo provato a ricostruirla.

Benino o Benito: Questa figura si riferisce a quanto è affermato nelle Sacre Scritture: «E gli angeli diedero l’annunzio ai pastori dormienti». Il risveglio è considerato inoltre come rinascita. Infine, Benino o Benito, nella tradizione napoletana, è anche colui che sogna il presepe e, secondo la tradizione partenopea, non bisogna mai svegliarlo se non si vuole rischiare che il presepe…sparisca!

Il vinaio e Cicci Bacco: Questa figura rappresenta una sorta di contrapposizione alla nuova concezione religiosa diffusa dopo la morte e la Resurrezione di Cristo. Cicci Bacco è infatti ancora legato alle antiche divinità pagane, in qualità di dio del vino, che spesso si presenta davanti alla cantina con un fiasco in mano. A Napoli è conosciuto come Ciccibacco ‘ncoppa a’ votte (Ciccibacco sulla botte) e guida un carro che è trainato da un uno o due buoi.

Il pescatore: raffigura in maniera simbolica il pescatore di anime, così come il pesce stesso che è sempre stato un simbolo legato alla figura di Cristo. L’aniconismo, cioè il divieto di raffigurare Dio, portò i cristiani alla necessità di usare dei simboli per rappresentare la Divinità. E tra questi c’era infatti il pesce, il cui nome greco (ichthys) era acronimo di “Iesùs CHristòs THeù HYiòs Sotèr” – cioè “Gesù Cristo Figlio di Dio e Salvatore”.

I due compari: i due compari, zi’ Vicienzo e zi’ Pascale, sono la personificazione del Carnevale e della Morte. Infatti, al cimitero delle Fontanelle in Napoli è presente un cranio indicato come “A Capa ‘e zi’ Pascale” al quale si attribuivano poteri profetici, tanto che le persone lo interpellavano per chiedere consigli sui numeri da giocare al lotto.

Il monaco: viene interpretato come simbolo di un’unione tra sacro e profano che viene messa in atto nel presepe napoletano.

La zingara: di solito viene rappresentata come una giovane donna, con vesti strappate ma appariscenti.

Alcuni vedono la sua presenza come simbolo del dramma di Cristo poiché porta con sé un cesto di arnesi di ferro, metallo usato per forgiare i chiodi della crocifissione, perciò segno di sventura e dolore. Molto più spesso, invece, la zingara del presepe è raffigurata con un bimbo in braccio, simbolo quindi anche della maternità e non necessariamente di sventura e dolore. È anche sicuramente erede della figura della Sibilla Cumana.

Stefania: È una giovane vergine che, quando nacque il Redentore, si incamminò verso la Natività per adorarlo. Bloccata dagli angeli che vietavano alle donne non sposate di visitare la Madonna, Stefania prese una pietra, l’avvolse nelle fasce, si finse madre e, ingannando gli angeli, riuscì ad arrivare al cospetto di Gesù il giorno successivo. Alla presenza di Maria, si compì un miracoloso prodigio: la pietra starnutì e divenne bambino, Santo Stefano, il cui compleanno si festeggia il 26 dicembre.

La meretrice: Simbolo erotico per eccellenza, contrapposto alla purezza della Vergine, si colloca nelle vicinanze dell’osteria, in contrapposizione alla Natività che è alle spalle.

I re magi: Rappresentano il viaggio notturno della stella cometa che si congiunge con la nascita del nuovo “sole-bambino”. In origine rappresentati in groppa a tre diversi animali, il cavallo, il dromedario e l’elefante che rappresentano rispettivamente l’Europa, l’Africa e l’Asia. La parola magi è il plurale di mago, ma per evitare ambiguità si usa dire magio. Si trattava di sapienti con poteri regali e sacerdotali. Il Vangelo non parla del loro numero, che la tradizione ha fissato a tre, in base ai loro doni, oro, incenso, mirra, cui è stato poi assegnato un significato simbolico.

I venditori: uno per ogni mese dell’anno: Gennaio, macellaio o salumiere; Febbraio, venditore di ricotta e formaggio; Marzo, pollivendolo e venditore di uccelli; Aprile, venditore di uova; Maggio, rappresentato da una coppia di sposi recanti un cesto di ciliegie e di frutta; Giugno, panettiere o farinaro; Luglio, venditore di pomodori; Agosto, venditore di cocomeri; Settembre, venditore di fichi o seminatore; Ottobre, vinaio o cacciatore; Novembre, venditore di castagne; Dicembre, pescivendolo o pescatore.

 

Il presepe napoletano non è solo legato alla religione cristiana, ma parte integrante delle nostre radici e della nostra quotidianità. Basti pensare a quante centinaia di persone visitano ogni anno, come in una sorta di peregrinaggio, la rinomata strada di San Gregorio Armeno, con le sue splendide botteghe di artigiani.

Un legame intenso e una tradizione secolare che ci auguriamo possa non svanire mai.

In foto Presepe Certosa di San Martino a Napoli

Foto tratta dal sito www.ecampania.it